Il mondo alla rovescia

La città in festa si veste di mille colori e dalle sue radici antiche fioriscono nuove gemme.

S’appende a capo chino il mondo vecchio, una volta ancora. E forse per una volta lo guardiamo nel verso giusto. Un popolo in maschera, che anarchico acclama un re che non è che un ubriacone di carta. Un corteo di draghi, mostri, deformi, pagliacci, tristi Pierrot e radiosi paradossi. La tradizione antica della libertà che si mostra. E quanta verità negli sguardi coperti di trucco, negli uomini coi tacchi a spillo, nei vecchi che danzano come fanciulli, nei bambini festanti.

Uno spazio e un tempo che esistono solo in quella stanza segreta dove si trovano le emozioni, e non c’è posto per la materia, ma solo per i sogni. Un mondo nudo senza vergogna, che ha gettato a mare ogni sovrastruttura.

Estate

Il sole si specchia e si confonde nel bianco del mio libro, avvolge la spiaggia di ardente calore.
Il mare canta la sua eterna nenia, assonnato e placido. Figure aliene e pacchiane invadono la spiaggia, coi loro grandi borsoni colorati. Un bambino gioca scavando la sabbia, rapito nell’estasi della materia e dell’invenzione.  
Al bar tribù di ragazzi carichi pieni di energia intrecciano amori immaturi come ciuffi di alghe verdi straccate dal mare.
Un vecchio sta immobile al sole e anziane signore chiacchierano tra loro.
Ci guardano i monti martiri del marmo. Osservano il mare, accarezzano il cielo.
Come ombre passano i figli sfortunati di questo mondo ingiusto, in cerca di un po’ della nostra abbondanza. Coloro che nacquero dal lato sbagliato d’un confine o d’un sistema.
La brezza culla i miei pensieri mentre io, spettatore distratto, scruto una nuvola altissima. Sembra non dover mutare mai, come una pennellata nel cielo. Invece è effimera come l’attimo che chiamiamo felicità.

Progresso

Lontano, sopra rosse praterie di tetti, svetta il campanile della chiesa. Qui mia madre m’insegnava a pregare una mamma più grande, e la chiesa ci stringeva come in un abbraccio.

Lo sguardo scorre sulle mie radici. La mia terra è tutta ferita, piagata da un cemento che la opprime. Lo vidi avanzare, divorando la terra come un cancro.

La strada è silenziosa sotto il sole caldo. Sembra piena di vita. Adesso non ci sono bare di metallo a reclamarla, né fumo, né urla, né la terra che trema. Sembra fatta per le persone e non per il profitto.

Il cielo è azzurro come l’orizzonte del mare, brillante come la sabbia. Un aereo lo macchia; lascia la bava come una lumaca. Mi domando se sia partito per esplorare o solo per consumare.

C’è odore di fiori, ma il verde non c’è. C’è brezza di mare, dietro i palazzi vuoti.

Non riesco ad essere triste in questo luogo: ogni centimetro parla al mio cuore. Eppure non posso gioire, davanti alle ingiurie del tempo.

Davanti alle piaghe di questa terra, che qualcuno vuol chiamare progresso.

Il bisogno di partire

Seguo con lo sguardo il volo di un gabbiano. Nel suo ampio volteggiare nel sole mattutino, il suo piumaggio assume sfumature dorate, a seconda dell’inclinazione del suo corpo. Mi dà un gran senso di tranquillità, mi sembra di essere accarezzato da quello stesso vento che lo trasporta con delicatezza.

Sono chiuso nel mio ufficio, ma vorrei essere fuori, libero nel vento. Un istinto mi scuote con potenza: il bisogno di partire. Ho bisogno delle grandi distanze, ho necessità di riempire i miei occhi con spazi sconosciuti. Voglio sentirmi lontano, sotto un nuovo cielo, sopra una terra che non sa chi sono.

Non so che cosa mi spinga così fortemente a cercare qualcosa di nuovo per sua natura. Chissà se questo è ciò che provarono Marco Polo, Colombo, Magellano. Chissà se esso è in realtà un istinto universale, che alcuni hanno avuto il coraggio di perseguire con costanza.

Non sento vuoti da colmare, non ho disagi dai quali fuggire. È piuttosto una fame di conoscenza, una sete d’avventura. Si tratta d’un bisogno primario, il mio richiamo della foresta. L’essere umano, come l’acqua, si mantiene vivo in movimento. Non siamo nati con le radici, ma col sogno del volo in fondo ai nostri occhi.

[Lucca, 24/04/2020]

29/06/2009

Fu un lampo nella notte, un istante che cambiò il destino. L’aria si fece rossa, e le nuvole bruciarono a lungo. Tanfo di fuliggine, pianto di sirene. Il drago consumava il suo orrido pasto. Come riuscì a ingoiare così tante vite in così poco tempo?

La notte era nera come una tomba, senza stelle a consolare Viareggio. Un fumo denso e spesso nascondeva il cielo.

-Cosa è stato?-
-Hai sentito?-
-Guarda là!-
-Ma che succede?!-

Elicotteri, uomini catarifrangenti.
-Tornate a casa subito, e non uscite! –
-Da qui non si può passare: c’è stato un grave incidente.-
Tu chiamalo incidente! Le notizie si inseguono, rotolano come pietre dalla montagna. Acquistano forza, crescono di pari passo al numero dei morti. Qualcuno non si trova più. Vapore, cenere, come chi passa per il crematorio.

C’era un cancello di ferro, lungo i binari. Un grande, robusto cancello, per molti metri nel muro della ferrovia. In parte si è fuso.

-La linea è interrotta, un treno è deragliato.-

Le case bruciano e, con esse, i loro abitanti.
Le preghiere si alternano al pianto. In molte lingue, uomini piccoli come bambini chiamano Dio, implorano Allah.
Ci dev’essere fila stasera alle porte del Paradiso. Penso che i bimbi entreranno per primi. Forse dormono ancora, se la morte è stata delicata nel prenderli in braccio.

-Il ponte è distrutto. –
-Ricordi quando andavamo lì a bere birra e guardare i treni che passano?-
-Non esiste più, è bruciato-
-Ma era di cemento armato!-

Nessuno dormì. La tv ci raccontava da Roma, da Milano, da Londra, cosa stava accadendo a 500 metri da noi.

Il giorno dopo i muri erano neri, le strade deserte. Bombardate.
Ricordo che c’erano platani, pini e case modeste, arroccate sui binari, che quasi potevi toccare i treni. C’era la vita, che scorreva come sabbia tra le dita.
In un attimo tutto scomparve.

Fu un lampo nella notte, un istante che cambiò il destino.

[Lucca, 28/06/2019. In memoria delle vittime della Strage di Viareggio.]

La valigia

Ho una bella valigia, è piena di ricordi. Li ho messi lì e me li porto dietro. Certe volte li riguardo, come si guarda la terra che si allontana dalla riva, mentre si prende il mare. Alcuni sono proprio belli! Mi stupisco nel vedere come gli avvenimenti si susseguano, di come le cose ritornino. Di come spesso quelle che più inseguiamo alla fine ci sfuggano e vengano sostituite da altre. Che poi magari scopriamo essere migliori. E’ sorprendente.

Nella vita si incontrano persone: con alcune si condivide un tratto di strada e con qualcuno si cammina mano nella mano. E strada facendo si scattano foto che si infilano nella valigia, per riguardarle poi, come si guarda una nuvola che si allontana nel cielo.

Alcune volte invece si posa la valigia e si aspetta. Come un ciliegio, sotto la neve, aspetta l’estate.

[Viareggio, 14 febbraio 2012]

Una settimana prima dei 30

Sono nato al Tabarracci, un ospedale che non esiste più. Sui mappamondi c’erano l’URSS e la Jugoslavia. Ho assistito al passaggio tra Prima e Seconda Repubblica, la fuga di Craxi, la discesa in campo di Berlusconi, la Lega, Mani Pulite, la Stagione delle Stragi e l’arresto di Riina. Ho seguito in diretta le guerre in Kosovo e in Cecenia, le due Guerre del Golfo, e il massacro in Ruanda. Ho visto la CEE trasformarsi in UE e la Lira diventare Euro. Ho ascoltato Giovanni Paolo II, Madre Teresa di Calcutta, la principessa Diana e Fabrizio De André. Mi sono stupito del susseguirsi di PC, portatili, agende elettroniche, palmari, cellulari, tablet, schermi piatti e fotocamere digitali. Ero presente all’arrivo di compagnie aeree low cost, dei navigatori, dei treni ad alta velocità e delle auto a metano. Ho usato i telefoni con la rotella, i mangiadischi e poi i mangianastri, i walkman, i lettori cd portatili, le tv a tubo catodico, irullini fotografici e internet a 56 KB . Ho guidato la Fiat Uno: prima la CS e poi la Fire, la vecchia Tipo e il Malaguti Phantom. Ho bevuto la cioccolata Sprint, ho mangiato le Girelle e i Polaretti. Ho indossato: pantaloni corti e cappello “alla pescatora”, pantaloni a coste larghe col cavallo basso e la felpa legata in vita; portafogli con la catena e camicia fuori dai pantaloni. Ho giocato con le biglie di vetro e con quelle da spiaggia, con i ciclisti dentro. Ho collezionato i Ciuccini, i Combattini, le Magic, i Pog. Ho avuto una stuoia da mare in paglia e un parasole da auto in cartone pieghevole, una stufa a carbone e una a kerosene. Ho fumato dentro i pub, ho imparato a mangiare kebab e sushi. Ho riso con Bud Spencer e Fantozzi, ho seguito Dawson’s Creek, Mazinga, i Cavalieri dello Zodiaco, Ken Il Guerriero e Ranma 1/2. Ho ascoltato gli 883, Lene Marlin, i Blink 182, i Red Hot Chili Peppers e i Placebo.

Ho visto cambiare tutto, ho attraversato un mondo che in parte non esiste più. Durante il viaggio ho perso delle persone care, ho incontrato tanta gente, ho conosciuto l’amore e il dolore, ho pianto forte e ho riso rumorosamente, ho cambiato tante volte idea. Adesso che un ciclo si chiude, ho la tristezza e la speranza di chi lascia il suo paese.
Come costruirò la strada che mi è dato ancora di percorrere?

[Viareggio, 2 aprile 2015]

Il mare d’inverno

Il mare d’inverno è una donna timida e riservata. Non è facile conoscerla, e certamente si concede a pochi. Ma se imparerai ad ascoltarla e rispettarla, a sopportare il suo umore mutevole come le maree e le sue onde improvvise, a capire la sua misteriosa e inscrutabile profondità, allora ella ti aprirà il suo cuore e ti mostrerà la sua anima.
Per noi, figli del mare, questo è facile. Perché sentiamo scorrere il suo sale nel nostro sangue, perché il nostro cuore batte al ritmo della risacca.
Perché nella sua immensa, inaccessibile anima vediamo facilmente la nostra.

[Viareggio, 06/01/2018]

Nostalgia

La risacca del tempo porta lontano ricordi lasciati sulla battigia, ma subito torna a schiantarli su di me, con la forza implacabile della marea.
E l’onda mi trascina lontano, in luoghi e tempi diversi, prima che ognuno di noi fosse preso dall’agonismo della propria salita.

In mare mi lascio prendere per un po’ dal dolce dondolio delle immagini che mi portano alla deriva. Dolcissime immagini dei miei cari, indelebili ricordi di giorni dai brillanti colori, ricordi vivaci degli anni che abbiamo diviso, amici.

Lunghi anni, estati, inverni, notti, giorni, eravamo diversi, ma eravamo noi.

A volte la marea sale e mi porta ricordi di anni lontani e io li prendo e li metto da parte, delicati straccali, per condividerli ancora con voi.

[Sesto Fiorentino, 08/05/2012]