DUE PESI E DUE MISURE

DUE PESI E DUE MISURE
ovvero L’IPOCRISIA DELL’OCCIDENTE

Hamas uccide intere famiglie, inclusi i bambini. Sono peggio dei nazisti, peggio dell’Isis.
Israele bombarda le case, uccidendo intere famiglie, inclusi i bambini. E allora?

Il Kosovo ha diritto all’indipendenza perché è una terra storicamente albanese, che i serbi hanno tentato di epurare.
La soluzione a due stati in Palestina è morta, i palestinesi se ne facciano una ragione.

Seconda Guerra del Golfo, circa 1 milione di morti: trasmessa in diretta.
Seconda Guerra del Congo, circa 6 milioni di morti: ah, davvero? E quando è stata?

La Scozia ha diritto all’indipendenza, appena la proclamerà, l’accoglieremo come nuovo per stato nell’UE.
La Catalogna non ha diritto all’indipendenza, e se la proclamerà, il nuovo stato potrà considerarsi fuori dall’UE.

Gli USA hanno tutto il diritto di occuparsi di ciò che avviene a Cuba e in Messico, in pratica è casa loro.
L’Italia ha tutto il diritto, se non il dovere, di occuparsi di cosa avviene in Libia, è un legittimo interesse nazionale.
La Cina non può avanzare alcun diritto sulle isole del Mar Cinese Meridionale.

La Turchia reprime i Curdi.
L’Ucraina non ha mai represso i Russofoni del Donbas.

Nei Paesi Islamici i Cristiani sono discriminati.
In India non c’è alcuna discriminazione contro i Musulmani. E nemmeno in Francia, ci mancherebbe.

Primavere arabe: armare i manifestanti
Rivolta delle banlieue: fermare i manifestanti con ogni mezzo, anche con la forza

[Lucca, 26/10/2023]

Perso in un bicchiere

So che non è vero, ma non voglio pensarci. Non adesso. Galleggio. Leggero sulle correnti di questo mare. O forse affondo, e guardo fuori attraverso gli oblò. Fondi di bicchieri.
Quando ero piccolo, tutto era leggero, la maggior parte del tempo. Galleggiavo spesso.
Poi hanno cominciato a caricare peso, piano piano, giorno dopo giorno. E adesso è difficile tenere la testa lontana dalla superficie dell’onda. Respirare.
Guardo questa darsena, immobile. Attraversa la storia senza fretta. Le sue acque scure sembrano esattamente il posto dove potersi perdere. Poi guardo il cielo notturno, nitido, freddo. Segnato da flebili stelle come il soffitto del bar. Affogo nel mio bicchiere. Il liquido è forte come queste acque, trasparente come questo cielo. I cubetti di ghiaccio sembrano tante stelle.
Sono una bomba a orologeria. Non mi sentite ticchettare? Ma non stasera.
Stasera nuoto in questo cielo, con i piedi in mare.
È tutto falso, lo so. Un modo di gettare a mare il carico che mi tira giù, ma solo per un po’.
La notte è fredda, eppure il fuoco brucia, non si è spento. All’orizzonte, in lontananza sulla spiaggia ne sento l’odore.
Un altro bicchiere, e il mondo gira, in un carnevale. Mi lascio indietro ogni parvenza di sovrastruttura: la notte non ha bisogno di molte regole. Le emozioni sono tutte scoperte, come ferite vive. Battono forte, pulsano e dolgono. I crampi del riso, i nodi del pianto. Non temo di mostrarle, né di vederle.
Vorrei che quest’attimo durasse per sempre, ma ora plano verso il suolo. Sempre più veloce, sempre più vicino.
Mi risveglierò, con la testa sul filo dell’acqua, carico di zavorre e di vergogna per il mio tentativo di fuga.
So che non è vero, ma adesso galleggio. Lascio che le correnti di questo mare imprevedibile mi portino, non voglio pensare dove. I problemi sono lontani stanotte, sotto il cielo stellato.  

Le città di mare

Le città di mare hanno un fascino particolare.
Le pietre sono stondate dai libecci insistenti, i palazzi nobiliari scalcinati dal salmastro, i monumenti e le facciate stinte consumate dalla sabbia. I giardini sono gonfi e umidi d’ombra, i bar sbatacchiati come murate di navi sulle banchine.
La gente somiglia alle cime del porto: marce di sale, consumate, logore eppure ancora  robuste oltre ogni aspettativa.
Le case storte, per l’acqua che ne mina le fondamenta, battute dal vento, con tende bianche gonfe d’aria come rande al traverso.
Le strade dense di maltempo e di profumi di cucina e di panni stesi ad asciugare, piene di solitudine, come ragnatele di rotte nel mare indifferente.
Affidano al caligo i loro eccessi, le speranze, le angosce, sono parte di una nazione che non ha confini.
Le città di mare sono contraddizione: litigiose ma pazienti, incasinate ma dignitose, battute ma combattive.
Le città di mare sono come dovremmo essere tutti quanti: imperfette e fiere di esserlo.  

[Lucca, 30/12/2023]

Analogie e divergenze tra Cosplay e Maschere

I Cosplay cercano di riprodurre un mondo di fantasia, ordinato ma il cui ordine è molto diverso da quello reale. Un mondo che in qualche modo li fa sentire più a loro agio di quello reale, nel quale poter sognare almeno per un po’.
La Maschere invece cercano di creare un mondo privo di regole, di potenti, di ricchi. Un mondo in cui essere tutti liberi e uguali, almeno per un po’.
I Cosplay rappresentano quindi la fantasia e l’utopia, il gioco fanciullesco.
Le Maschere rappresentano l’impeto anarchico che abbiamo tutti nel profondo, la rivolta, l’eccesso.
Sono due mondi molto diversi eppure molto simili, come Batman e Joker. Due facce della stessa medaglia, ognuno dei quali acquista più senso dall’altro.
Ecco perché spero che la collaborazione tra Comics e Carnevale prosegua e cresca sempre più. 

[Lucca, 06/11/2023]

Malinconia di carnevale

La spiaggia
come dolce ragazza
si sveglia,
dopo la sbronza.
Tutto è finito,
la spiaggia costellata da orizzonti
di straccali e lavarone
si lascia accarezzare
dal vento amaro del mare,
amante dopo fatto l’amore.

Tra i granelli di sabbia
un coriandolo si alza,
timido, trasportato nell’alba,
ma subito muore, o forse,
ritorna a dormire.
Arriva gelida l’alba
pastello rosa
a svegliare il mondo
dopo la sbronza
dopo la notte di baccanale.

Prorompe la realtà
dopo un giorno di festa.
Ma quanti amori,
gioia di vivere,
quante vibranti emozioni
hanno albergato di notte
su quella spiaggia,
dolce deserto d’oriente.

Le stelle tramontano
la città scopre
che non ci sono più maschere,
che non c’è più musica.
Solo silenzio.
Nostalgia per la festa,
come un fuoco d’artificio
per breve vita
esplode, meraviglia e poi muore.

Questa notte

Se solo potessi, caccerei indietro la mattina, respingerei l’alba crudele che mi assedia. Se solo questa notte potesse non finire mai, e questo attimo potesse essere dilatato fino a divenire eternità. 

La tua carne morbida e la tua pelle profumata, queste lenzuola ormai disfatte e un’altro bicchiere di vino. Questo è ciò che mi serve adesso. Nient’altro. 

Pura perfezione. Quest’istante dovrebbe essere reso eterno, raffigurato in un’opera d’arte ed esposto in un museo nazionale. La gioia è la più effimera di tutte le emozioni, e proprio per questo la più preziosa. 

Ti osservo. Occhi di desiderio, seni di passione. I nostri corpi si muovono nel buio, e io mi sorprendo a guardarci da lontano, così come si osserva lo spettacolo superbo della scogliera contro cui s’infrange l’oceano. 

Chiudo gli occhi e ti stringo, non ti lascerò andare via. 

Anche se il mattino ci rincorre, noi fuggiremo. L’onda dei nostri fianchi si schianta e si ritira, siamo spuma e battigia. Come l’incessante ritmo della marea. Io e te. Il tempo, indiscreto, l’abbiamo chiuso fuori da questa camera.

Istinto e sogno. Ma le luci della notte filtrano dalle veneziane chiuse, ricordandomi che la realtà ci attende, col coltello in mano. 

Non ci salveremo dal nostro destino. Domani arriverà e, con esso, la tua partenza. Puntuale e fredda, come un treno in una mattina d’inverno. 

Ma non voglio pensarci adesso. Voglio solo continuare a pregare che quest’alba non arrivi mai.

Nuvola

Assediata da una squallida coltre di freddo
un’ultima nuvola veniva dal mare.

Raccontava storie di ragazzi,
di notti insonni
sulla spiaggia respirando
amore.
Raccontava la vita,
parlava di innocenti cazzate,
di musica altissima,
di baci alla birra e gelato,
di mare, di sole, di sere stellate.

Quell’ultima nuvola parlava
di tutta un’estate.

Il Natale più bello

Certe volte capita che in mare si scatenino tempeste improvvise, che neanche i più esperti marinai sono in grado di prevedere. Il vento comincia a soffiare con una forza inattesa, le onde si alzano, le correnti si fanno impetuose, la pioggia sferza la nave e i fulmini precipitano ruggendo. L’equipaggio, colto alla sprovvista, si affanna a mettere in sicurezza le vele e il timone, ma la forza bruta degli elementi spezza gli alberi e manda gli uomini alla deriva, verso una sorte incerta.

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La caduta

Il vento mi sferza con inaudita violenza. Non riesco a tenere gli occhi aperti che per pochi, fugaci istanti, nei quali vedo il terreno farsi via via più vicino. Sto precipitando, e questi sono i miei ultimi momenti in questo mondo.  

Non posso fare niente per cambiare questo, ogni mia azione sarebbe inutile. Avrebbe al massimo l’effetto quello di farmi roteare disordinatamente in aria, ma non mi fermerebbe e non mi riporterebbe su. E, in qualsiasi posizione avverrà l’impatto, da quest’altezza sarà fatale.  

Ormai il terrore ha ceduto il passo alla rassegnazione, poi alla tristezza, e adesso ad un’attesa piene di ansia. Ma la progressione non è irreversibile e ogni tanto le emozioni ritornano indietro. Non so da quanto tempo stia cadendo: potrebbero essere pochi attimi, come interi minuti. Mi pare che sia da tutta la vita, che non abbia mai fatto altro finora.  

Le persone e le auto diventano sempre più grandi mentre si avvicinano. Prima erano come piccole formiche e per un istante, perso nei miei pensieri, l’avevo trovato bello. Avevo avuto l’impressione che l’impatto non sarebbe mai avvenuto. Sembrava tutto così lontano.  

Adesso invece capivo che era questione di poco, e che la forza dell’urto sarebbe stata indicibile. Il mio corpo, così fragile, sarebbe andato in mille pezzi. Letteralmente. Il terrore tornò ad assalirmi. Piansi.  

Riuscivo ora a distinguere i modelli delle auto, e i colori dei vestiti della gente. Ultima fermata, eccomi al capolinea. Nel caos della mia mente, frammenti di tempi passati. Volti, istanti. Non si è davvero felici se non per brevi momenti, che custodiamo nel nostro personale museo dei ricordi. Ed è lì che il cuore tende ad andare nei momenti più bui.  

Adesso vedo il terreno farmisi addosso. Come un bacio, non richiesto e non gradito, di cui ci si accorge troppo tardi per respingerlo. Non ho più voglia di gridare, non serve a niente. Sono stanco. Vorrei che questo non fosse il mio destino, ma dal momento che lo è, vorrei solo che la mia fine fosse gentile.  

È ineluttabile. Sono ancora vivo, ma so che sto per morire. D’altra parte, è una condizione comune a tutti gli esseri umani. Forse non tutti ne sono pienamente consapevoli, ma nondimeno stanno precipitando. Alcuni se ne accorgono presto, altri tardi e certe persone finiscono addirittura per toccare il terreno ignare, con gli occhi chiusi. Tuttavia, l’epilogo è sempre lo stesso.   

Ci siamo, adesso arriva il buio. Il capolinea di un viaggio e l’inizio di uno successivo, in un mondo altro da tutto ciò che è stato. Il tonfo, lo sconcerto, le lacrime. Una cosa inattesa per tutti, eppure mi pare un secolo che sto cadendo. Come tutti.